penelope #18
Bentornati su penelope, la newsletter che ti segnala che lì, proprio lì, c'è un racconto bello da leggere. E che ogni tanto scompare per mesi e mesi, ma poi, cocciuta, ritorna. In questo numero, tre racconti italiani recenti: uno di Alberto Ravasio, che ha appena esordito con un romanzo - La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera - di cui si dice un gran bene; uno di Gianluca Didino, che non fa spesso incursioni nella narrativa e qui si è invece cimentato in un lungo racconto uscito a puntate; e infine, in palese e sfacciatissimo conflitto di interesse, un racconto del qui presente curatore di penelope. Buona lettura.
Alla periferia di un impero editoriale italiano straccione ma narcisista, con più titoli che tirature e più scrittori che lettori, viveva, anche se nessuno se n’era accorto, Babbeo Nanini, il più appassionato e incapace aspirante scrittore del suo tempo, o almeno del suo condominio. Come un cornuto fedele, lui alla letteratura aveva dato tutto, senza che lei, manco per sbaglio, gliel’avesse mai data, nemmeno per un giro di frase.
Alberto Ravasio, Gli scrittori ridicoli; continua su «Altri Animali» qui.
Sarebbe semplice dire che questa storia inizia con la scimmia, un cebus capucinus di due anni, o così pensiamo, il cui nome, sempre che ne avesse uno, non scoprimmo mai. La realtà però è che la scimmia è stata solo l’inizio della fine, il momento in cui gli ingranaggi dell’ossessione hanno unito i denti.
Alcune settimane prima c’è stato l’attimo in cui ho visto quella che non sapevo ancora essere Nicoletta uscire dall’aula studio di via Verdi, un pomeriggio caldo di settembre, e ho notato il nevo melanocitico gigante che spuntava sotto la manica sinistra della t-shirt scura, un buco nero che ha assorbito tutta la luce della mia attenzione.
Gianluca Didino, La scimmia; continua su «Malgrado le mosche» qui.
Cosa fanno le persone quando non le stiamo guardando?
In pubblico fingiamo tutti così tanto che non c’è modo di sapere quel che succede quando torniamo a casa, la serratura scatta, e restiamo soli con le nostre cose, i nostri difetti, i nostri odori.
Vale per tutti quanti, in qualsiasi momento.
Vale anche per me, quando venduti gli ultimi biglietti per uno spettacolo apro la porta dello sgabuzzino e poi me la chiudo alle spalle.
Cosa ci sarà là dentro? pensano gli ultimi spettatori mentre entrano in sala, ma probabile sia un pensiero fugace, perché poi il buio della sala se li inghiotte, e comincia il film.
Michele Orti Manara, Tuo padre che affoga; continua su «minima&moralia» qui.
Vuoi segnalare un racconto a penelope? scrivile
penelope è curata con amore da michele