penelope #15
Bentornati su penelope, la newsletter che ti segnala che lì, proprio lì, c'è un racconto bello da leggere. Dopo un’assenza abbastanza lunga, dettata da - inventati una scusa plausibile inventati una scusa plausibile... - ok, dalla pura, purissima pigrizia, rieccoci qui, con tre racconti. Enjoy.
Immaginate una serie di case lungo un viale che si chiama Gebbione, immaginatele a grappoli lungo questa via che quando finisce c’è una fabbrica che si chiama l’Omeca, a Reggio Calabria. Ora se vi sporgete da uno di quei balconi, che danno sulla via piena di alberi, intravedete il mare. Seguite la linea dell’orizzonte lungo i tetti dei palazzi fino a che il vostro sguardo non strapiomba su una piccola strada stretta d’asfalto. Lì c’è un piccolo ingresso alla spiaggia. Immaginate di camminare lungo la battigia, l’acqua vi copre i piedi. Andate avanti fino a quando trovate un uomo seduto su alcune casse di legno e una canna da pesca in mano.
Demetrio Paolin, Storia del mio sangue; continua su «Vibrisse», qui
Non avevo orecchiato la voce di un uomo mai senza poterlo occhiare. Di un uomo morto neanche mai. La scatola sembrava importante, e quindi ho deciso di scrittoriarla. E per fortuna che sì, perché dopo un po’ che orecchiavo quella voce l’apparecchio che parlava ha ghiacciato. Prima ha iniziato a ghiacciare poco e poi ha proprio ghiacciato del tutto. Quando l’ho manata a mio nonno, ha solo alzato le spalle e mi ha detto che quelle si parolavano “cassetta”. Una volta erano molto facili. Prima che accadesse il bianco.
Federico Zagni, Cronache del prebianco; continua su «Verde», qui
Secondo papà, le nuvole le aveva inventate lui. Si sedeva sulla sponda del letto dopo aver rassettato le coperte di Benedetta, lei stava sopra, io sotto; lui aveva gambe piccoline e segnate da botte che non so come avesse preso. Le dava una carezza che durava qualche secondo; mi diceva che se volevo riuscire nella vita dovevo essere come lui, che aveva inventato le nuvole.
“Come, tu?”
“Io”, diceva; non aggiungeva altro. Aveva il viso rovinato da antiche piaghe, faceva una smorfia che doveva sembrare un sorriso, poi andandosene chiudeva la porta; se gli dicevo che avevo paura del buio mi diceva di finirla.
Ivano Porpora, L’uomo che creò il tempo; continua su «Senzaudio» qui
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